Frequentemente ci si domanda, soprattutto in casi di separazione o divorzio, come debbano essere regolati i rapporti economici tra le parti ed in particolare quali siano gli oneri che in caso di presenza della prole i genitori debbano rispettare.
Partendo dalla fonte normativa della materia: nelle disposizioni di cui agli artt. 143, 147, 316 bis e 337 ter c.c. è attribuito ad entrambi i genitori il dovere di mantenere i figli in maniera proporzionale alle sostanze di ciascuno di essi, secondo le rispettive capacità di lavoro professionale o casalingo.
In particolare, al comma 4 dell’art. 337 ter c.c. è statuito testualmente: “… Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità…”.
In buona sostanza, a seguito della riforma del 2006, con la quale si è data prevalenza all’affidamento condiviso dei minori, il legislatore ha apportato un’ulteriore modifica con cui ha ritenuto di dare (almeno sulla carta) precedenza al mantenimento dei figli in via diretta da parte di ciascun genitore, lasciando tuttavia aperta la possibilità di prevedere il versamento di un assegno di mantenimento mensile laddove si rendesse necessario.
Ma partiamo dal principio..
Cosa significa mantenimento diretto? Il genitore provvederà al mantenimento del figlio sostenendo direttamente le spese per la cura, l’istruzione e l’educazione dei figli.
In questo modo la previsione di un assegno periodico dovrebbe avere carattere residuale, trovandosi subordinato unicamente alla necessità di rispettare e garantire il principio di proporzionalità.
Vi è da prendere atto, tuttavia, che la norma così formulata ha nei fatti trovato scarsa applicazione a beneficio della previsione di un assegno di mantenimento periodico generalmente imposto al genitore non collocatario della residenza anagrafica dei figli.
Più specificatamente tale ipotesi viene esclusa laddove non vi sia un collocamento considerabile paritario in termini di tempo ma anche laddove, pur sussistendo tale calendarizzazione, permanga una importante differenza reddituale tra i genitori, o vi siano stati ritardi o inadempimenti da parte di uno dei due, o ancora via sia tra i genitori un’elevata conflittualità o infine vi sia il fondato pericolo di inadempimento di una delle parti.
Nel caso in cui non si possa, dunque, adempiere nei termini anzidetti al sostentamento dei figli, verrà stabilita la corresponsione di un assegno che il genitore (solitamente come detto non collocatario) dovrà versare all’altro genitore con cadenza periodica per compensare gli oneri maggiori che questo è costretto a sostenere per far fronte alle spese correnti.
Fulcro della disciplina è: garantire al figlio il mantenimento dello stesso standard di vita avuto in precedenza (a conferma Cass. Civ., Sez. VI-1, Ord., 9 agosto 2021, n. 22515).
Ulteriore tratto d’interesse della materia risiede, poi, nella determinazione dell’ammontare dell’assegno stesso. Per questo oltre all’uso del criterio della proporzionalità, il nostro ordinamento non prevede di fatto dei parametri fissi che consentano di individuare ex ante il suo ammontare, bensì sono dettati dei criteri:
Infine, si consideri che un’ulteriore componente dell’obbligazione di mantenimento in capo ai genitori è quella concernente le c.d. “spese straordinarie”.
Si tratta di esborsi che non vengono considerati nella quota versata periodicamente poiché non sono determinabili nel loro ammontare in via antecedente e sono solitamente attinenti a eventi non costanti e non prevedibili nella vita dei figli (es.: visite specialistiche, corredo scolastico, quota associativa per lo sport et similia).
Solitamente, invero, viene per le stesse stabilita una quota percentuale che potrà essere posta a carico dei genitori in via paritetica o differentemente per quote differenti o ancora integralmente in capo ad uno solo dei genitori.