Le misure, previste dall'ordinamento, volte alla tutela delle persone prive, in tutto o in parte, di autonomia

Le misure, previste dall'ordinamento, volte alla tutela delle persone prive, in tutto o in parte, di autonomia

Nel nostro ordinamento esistono degli strumenti giuridici volti a proteggere persone prive in tutto o in parte di autonomia, ovvero soggetti privi della cosiddetta capacità di intendere e di volere.

Il diritto tende infatti a tutelare l'incapace contro il pericolo che egli rechi danno a se stesso.

A questo scopo consente, ad esempio, di annullare i negozi giuridici stipulati dall'incapace o di affidare a determinate persone(genitori, tutore, curatore) il compito di provvedere agli interessi dell'incapace avendo cura della sua persona, rappresentandolo negli atti civili, amministrandone i beni o assistendolo nel compimento dicerti atti.

Le cause che possono limitare o escludere la capacità di intendere e di volere sono la minore età, l'alterazione delle facoltà mentali e altre minorazioni.

Per brevità di esposizione ci si soffermerà unicamente ad analizzare gli istituti previsti dal codice civile a tutela delle persone maggiorenni affette da abituale infermità di mente tale da renderli incapace di provvedere ai propri interessi.

Il Titolo XII del Codice Civile infatti identifica tali misure con l'interdizione, l'inabilitazione e l'amministrazione di sostegno, quest'ultimo introdotto con la l. 6/2004.

I presupposti delle tre ipotesi di assistenza e tutela variano a seconda delle condizioni personali della persona da proteggere e delle finalità che si intendono perseguire

L'interdizione si applica nei casi in cui l'infermità di mente è talmente grave da rendere il soggetto totalmente incapace di provvedere ai propri interessi.

La domanda di interdizione, per la quale è necessario il patrocinio di un avvocato, va presentata al Tribunale del luogo di residenza o domicilio dell'interdicendo e può essere proposta da coniuge, parenti entro il quarto grado, affini entro il secondo grado.

Nel corso dei giudizio, il giudice istruttore designato dal Presidente procede all'esame dell'interdicendo, con la presenza del Pubblico ministero e eventualmente con l'assistenza di un consulente tecnico, recandosi al domicilio della persona incapace, se questa è impedita; sente il parere delle persone citate e può assumere, anche di sua iniziativa, ulteriori informazioni o disporre mezzi istruttori ritenuti utili ai fini del giudizio. Dopo l'esame, il giudice, se lo ritiene opportuno, può nominare un tutore provvisorio all'interdicendo.

Il procedimento si conclude con una sentenza, che può essere anche di rigetto.

La sentenza di interdizione - pronunciata dal tribunale in composizione collegiale - produce, di regola, effetti dal giorno della sua pubblicazione (cioè dal suo deposito in cancelleria), salvo il caso in cui si tratti di un minore non emancipato, il quale può essere interdetto solo nell'ultimo anno della minore età (la competenza, in questo caso, appartiene al Tribunale per i minorenni): in tal caso l'interdizione ha effetto dal giorno in cui il minore raggiunge la maggiore età.

La persona interdetta perde completamente la capacità di agire e non può più compiere alcun atto di natura personale (ad esempio: matrimonio, testamento, riconoscimento di figlio naturale) o patrimoniale.

L'interdetto è rappresentato da tutore definitivo, nominato dal Giudice Tutelare dopo la sentenza.

Se l'infermità di mente non è così grave da giustificare l'interdizione, si può richiedere la pronuncia di una sentenza di inabilitazione, che limita solo la capacità di compiere atti di straordinaria amministrazione e attribuisce all'inabilitato l'assistenza di un curatore (art. 414, 415 cod.civ.).

Possono essere inabilitati, ad esempio, anche coloro che per prodigalità o abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti espongono sé ola loro famiglia a notevoli pregiudizi economici.

O ancora: anche il sordo o il cieco dalla nascita che non abbiano ricevuto un'educazione sufficiente possono essere inabilitati se non sono in grado di provvedere adeguatamente ai propri interessi.

Infine, negli ultimi anni è stata introdotta una misura meno grave rispetto a quelle precedenti e sufficientemente elastica a tutela dei soggetti disabili, che tiene conto dell'esigenza di rispettare e valorizzare la loro residua capacità di agire.

E' l'amministrazione di sostegno (art. 404 ss cod. civ.)che si distingue da l'interdizione e dall'inabilitazione per la sua portata più limitata (ad esempio può essere disposta per una sola categoria di atti specifici), a tempo determinato nonché più concreto in quanto costruito sulle reali necessità del beneficiario, al quale si riconosce in ogni caso la capacità di esprimere i bisogni e aspirazioni dei quali l'amministratore di sostegno deve tener conto.

Proprio per tali motivi, l'amministrazione di sostegno è diventato lo strumento di protezione principale in caso di necessità “relegando” gli istituti dell'interdizione e l'inabilitazione ad ipotesi residuali e più gravi.

L’istituto dell’amministrazione di sostegno è quindi una figura giuridica istituita dall’ordinamento per quei soggetti che, per effetto di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovano nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi; quindi l’amministrazione di sostegno è dedicata ai soggetti maggiorenni, o ai minori emancipati, la cui capacità di agire sia carente.

Normalmente l’istituto si rivolge a anziani, disabili, tossicodipendenti, alcooldipendenti, malati terminali e detenuti, ovvero quelle categorie di soggetti che generalmente non riescono occuparsi dell’amministrazione dei propri interessi.

Colui che è sottoposto ad amministrazione di sostegno non perde completamente la propria capacità di agire, ma soltanto in relazione ad alcuni specifici atti.

In particolare, l’amministrato:

  • deve essere assistito o rappresentato dall’amministratore di sostegno nel compimento degli atti espressamente indicati nel decreto del giudice tutelare;
  • conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno.

L’amministrazione di sostegno è quindi uno strumento estremamente duttile: esso viene infatti configurato caso per caso, secondo le peculiarità ricorrenti nella specifica ipotesi.

In ogni caso, il beneficiario dell’amministrazione di sostegno conserva comunque la capacità di:

  • compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana;
  • fare testamento, purché capace di intendere e di volere al momento della redazione;
  • sposarsi;
  • riconoscerei propri figli.

La finalità dell'istituto è quindi quella di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente (art. 1 L. n. 6/2004).

Il compito dell'amministratore di sostegno pertanto è quello di aver cura della persona e non soltanto del suo patrimonio e per tale motivo deve svolgere i suoi compiti tenendo conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario; questo aspetto è di particolare importanza perché sottolinea come l'istituto in questione non si occupi soltanto delle questioni economiche del beneficiario in quanto la gestione dell'amministratore non può prescindere dalla tutela del benessere psicofisico dell'amministrato.

Fondamentale, quindi, è il rapporto di fiducia che deve intercorrere tra l'amministratore e il proprio amministrato nonché il fatto che la tutela deve avvenire con la minore limitazione possibile della capacità di agire di quest'ultimo.

A tal riguardo si è giustamente parlato dell'esistenza di una precisa direttiva di "non mortificare" la persona, da realizzare evitando di ridurre, quanto più possibile, la limitazione della capacità di agire dell'interessato così da non intaccare la dignità personale del beneficiario (art. 2 Cost.), conservandogli il più possibile la capacità di agire (Cass. Civ. sez. I, sent. 27.09.2017n. 22602).

Proprio per tali motivi, infatti, è molto importante la scelta dell'amministratore di sostegno la quale, in via preferenziale, dovrebbe avvenire tra i soggetti "più vicini" all'interessato, come il coniuge, il convivente oppure su un altro parente, limitando l'ipotesi della nomina di un estraneo solamente laddove sussistano "gravi motivi".

L'unico criterio utilizzato dal Giudice ai fini della concessione o meno dell'amministrazione di sostegno e della eventuale nomina dell'amministratore dovrà pertanto essere esclusivamente quello che riguarda la cura e gli interessi del beneficiario.

L’accesso a tale istituto, come l'interdizione e inabilitazione, avviene attraverso un ricorso depositato presso la cancelleria del giudice tutelare; i soggetti che possono richiedere la nomina di un amministratore di sostegno sono: il diretto interessato, il coniuge, il convivente more uxorio(purché la convivenza abbia il requisito della stabilità), parenti entro il quarto grado e affini entro il secondo. Possono proporre ricorso anche soggetti esterni al nucleo familiare come il pubblico ministero, il tutore o il curatore (se esterni al nucleo familiare),i responsabili di servizi socio-sanitari qualora fossero a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento.

La proposizione del ricorso può essere fatta personalmente presso la cancelleria del giudice senza l’assistenza di un difensore.

A cura dell'Avv.
Anna Carmela Del Sorbo